Il discorso del Cardinale José Tolentino de Mendonça preparato per l'udienza concessa da Papa Francesco alle Università e Istituzioni Pontificie Romane, il 25 febbraio
25 febbraio 2023
Mentre vi saluto con grande gioia (voi rettori, staff rettorali, docenti, studenti, collaboratori), e lo faccio a nome del Dicastero per la Cultura e l’Educazione, ringrazio dell’opportunità che mi viene data di rivolgervi una breve parola.
In questo contesto amerei condividere con voi la risonanza che suscita in me uno scritto di Simone Weil, filosofa che frequento da anni. Confesso di non avere con questo testo un rapporto del tutto pacifico. Credo però che i grandi testi che incontriamo nella vita debbano avere la funzione non di tranquillizzarci bensì di metterci in stato di allerta. Il testo di cui voglio parlarvi ha un titolo lungo e culturalmente controcorrente: «Riflessione sul buon uso degli studi scolastici in vista dell’amore di Dio»[1]. Parlare in questi termini dello studio significa riconoscere che questo non è semplicemente una tecnica, quasi fosse un territorio neutro o distante dalla vita spirituale. E giustapporgli l’aggettivo “scolastico” non significa cristallizzarlo in funzione di una determinata utilità, ma piuttosto implica risalire a quello che la parola greca scholé indicava: il tempo che il cittadino dedicava a sé stesso e alla propria formazione (alla sua paideia), che doveva essere integrale nel senso dell’estensione e universale nell’ordine dell’oggetto.
È ben vero che con il suo saggio Simone Weil non intendeva speculare sulle migliori o più immediate vie al successo pedagogico. Per lei si trattava invece di lottare per la sopravvivenza di ciò che definisce l’essere umano. E che consiste in questo: capire che la propria vocazione altro non è che l’orientamento totale della vita alla verità, e che esistere acquista senso solo nell’obbedienza a tale vocazione, in quel desiderio ardente per la verità e in quell’interminabile sforzo di attenzione che l’approccio alla verità comporta. Solo quando questo è salvaguardato, sosteneva Simone, gli studi scolastici diventano «uno di quei campi in cui è racchiusa una perla. Per questa perla vale la pena di vendere tutti i propri beni» (p. 201).
Possiamo riassumere la tesi sviluppata dalla filosofa in quattro punti, che costituiscono per noi sfide rilevanti:
1. La cosa più importante per progredire negli studi scolastici, quali che essi siano, è affrontarli prendendoli non solo in sé stessi ma come un’occasione di addestrare l’attenzione. L’attenzione prestata a una materia accresce la capacità di andare al di là di essa e di apprenderne altre. «L’attenzione è distaccarsi da sé e rientrare in sé stessi, così come si inspira e si espira» (p. 196). L’attenzione data alla logica, per esempio, certamente estende la capacità di capire la filologia biblica. Oppure, l’impegno nello studio della storia sarà poi ricompensato nella comprensione della teologia fondamentale. E Simone Weil proponeva questo esempio: «Gli inutili sforzi per imparare il latino compiuti dal curato d’Ars per lunghi e dolorosi anni hanno portato i loro frutti nella meravigliosa perspicacia con cui intravedeva l’anima dei penitenti» (pp. 193-194).
2.La cosa più importante per progredire negli studi scolastici è affrontarli come un cammino di santità buono come qualsiasi altro. C’è chiaramente, per Simone, una continuità tra studio e preghiera, tra apprendistato intellettuale e contemplativo, tra vita accademica e santità. E questo deve oggi farci riflettere.
3.La cosa più importante per progredire negli studi scolastici è permettere che l’intelligenza si lasci condurre non dalla volontà ma dal desiderio, «perché il desiderio, orientato verso Dio, è l’unica forza capace di elevare l’anima» (p. 196). È vero che soltanto Dio può venire ed elevare l’anima, ma il desiderio è un modo di chiedere a Dio di venire. «Se c’è veramente desiderio, se l’oggetto del desiderio è davvero luce, il desiderio di luce produrrà la luce» (p. 193).
4.La cosa più importante per progredire negli studi scolastici è, infine, capire che l’amore per i nostri simili è fatto della stessa sostanza dell’amore per Dio. E che quello che si è detto del buon uso degli studi in vista dell’amore di Dio ha identica pertinenza nei riguardi dell’amore del prossimo. La diagnosi da cui parte Simone Weil deve farci sobbalzare. Dice: «Tale capacità di prestare attenzione a uno sventurato è cosa molto rara, molto difficile; è quasi un miracolo» (p. 200). Per questo occorre una decisiva competenza spirituale per la carità, una pienezza d’amore capace di gettare sull’altro una certa qualità di sguardo.
Voi, carissimi studenti, ricercatori e docenti, che dello studio fate la vostra occupazione principale, come pure le università, facoltà, atenei che rappresentate, vi trovate a un bivio epocale di grandi sfide, ricco di possibilità culturali, scientifiche e sociali che abbisognano di un discernimento efficace e urgente. Come fare questo discernimento? – ci domandiamo. Papa Francesco non esita ad additarci quello che deve essere il criterio numero uno, e lo esprime nella Costituzione Apostolica Veritatis gaudium: «Innanzi tutto, criterio prioritario e permanente è quello della contemplazione e della introduzione spirituale, intellettuale ed esistenziale nel cuore del kerygma, e cioè della sempre nuova e affascinante lieta notizia del Vangelo di Gesù» (Proemio, n. 4a). È una volta soddisfatto questo criterio che si possono applicare bene gli altri tre – anch’essi importantissimi – indicati dalla Veritatis gaudium: quello del dialogo a tutto campo; quello dell’inter- e trans-disciplinarietà che deve qualificare la proposta accademica sul livello del contenuto e del metodo; e quello che concerne la necessità ogni volta più urgente di “fare rete” tra le diverse istituzioni che promuovono gli studi ecclesiastici, attivando con maggiore decisione nuove sinergie.
C’è un’immagine particolarmente bella nel saggio di Simone Weil. È con questa che vorrei lasciarvi. «La gioia di apprendere è indispensabile agli studi come la respirazione ai corridori» (p. 196). Che possiate divenire tutti apprendisti e maestri della gioia!
Card. José Tolentino de Mendonça
[1] Simone WEIL, Attesa di Dio (Milano: Adelphi, 2008), pp. 191-201.